Massimo e Gino, un esempio di vera civiltà per imparare ad amarsi rimanendo se stessi

Massimo MIlani e Gino Campanella dal "Palermo Pride 2014"

Massimo MIlani e Gino Campanella dal “Palermo Pride 2014”

Un sogno realizzato dopo tanti anni, il Pride a Palermo, sino a cinque anni fa ritenuto irrealizzabile.

«Invece, dal 2009 è diventato un appuntamento irrinunciabile da parte di molti – afferma Massimo Milani, portabandiera del movimento LGTB insieme a Gino Campanella, suo compagno di vita dal gennaio 1978 -. andato via via crescendo. Per come lo intendiamo noi, non è il Pride del sindacato degli omosessuali, ma di tutte le persone. Certo, propone il punto di vista di una parte della società, ma vuole coinvolgere tutti su un’ampia discussione: rispetto a quello che siamo e che vogliamo essere, su dove andiamo e cosa intendiamo fare. Una riflessione che guarda all’identità profonda della persona, a cosa sono un uomo e una donna oggi, nel 2014».

Cosa rispondere a chi chiede come mai ci debba essere una giornata dell’orgoglio omosessuale?

«Ma perché per gli eterosessuali non ci sono problemi. Sono considerati “normali” – agiunge Gino -, a differenza nostra che dobbiamo faticare per ottenere gli stessi diritti degli altri. E’ una manifestazione in cui ci mostriamo in maniera gaia, non certo con i pugni alzati come se minacciassimo qualcuno. Nella festa rivendichiamo quanto spetta anche a noi».

Cinque anni sono pochi, ma possono essere anche tanti, se si chiedono e non si ottengono determinate cose.

«Uno dei motivi per cui il Pride è sempre attuale – spiega Milani – é perché siamo quasi all’anno zero. Se c’è stata evoluzione di costumi e di cultura è perché il movimento LGBT, quelle delle donne e degli studenti si sono impegnati tanto. Dal punto di vista giuridico, però, non c’è stato alcun effettivo cambiamento; la società si è evoluta ma i diritti, le leggi sono rimaste sempre gli stessi. I registri delle unioni civili e quanto di più simile ci sia rimangono degli strumenti simbolici, per carità importanti, ma che non si adattano alle nuove esigenze delle persone e dei nuclei familiari che si evolvono. Le Famiglie Arcobaleno, per esempio, già esistono, invece sembra che ci dobbiamo inventare ancora qualcosa. Ci sono bisogni che attendono riconoscimenti, diritti che non vedono la luce perché purtroppo la nostra è una società omofoba. Praticamente, diciamo sempre le stesse cose. Cosa dovrebbe cambiare? La classe politica, che segue sempre opportunismi e clientelismi, non guardando ai bisogni reali delle persone. Ovviamente anche i cittadini dovrebbero fare la loro parte».

Rispetto quindi al movimento LGBT, che bilancio possiamo fare?

«Non ne possiamo parlare male perché nel movimento siamo nati e cresciuti; abbiamo anche conosciuto tante persone meravigliose che non ci sono più e che ci mancano terribilmente. Ci siamo pure innamorati dentro il movimento – racconta Gino Campanella, anche lui come sempre con un ampio e sincero sorriso -,  ai tempi dell’ex associazione “Fuori“. A Palermo, invece, abbiamo dato vita e animato il primo vero locale gay, il Neo, che ha dato spunti e linfa vitale alle nostre battaglie. In molti ricordano quante ne abbiamo passate. Dopo, con un’interpellanza parlamentare gli animi accesi si calmarono e ci si avviò verso stagioni più tranquille. Eravamo tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90».max e gino

La vostra coppia è sempre stata portavoce del movimento LGBT, dimostrando di potere vivere liberi di fare e di dire quel che si vuole. Vi siete anche sposati simbolicamente il 28 giugno del ’93, con una cerimonia che ha riempito le pagine di cronaca dei tempi. A unirvi in matrimonio fu l” ex consigliere comunale del Pds, Ernesta Morabito. Testimoni, invece, l’ onorevole Pietro Folena e Giovanni Ferro, presidente dell’ Arci di Palermo. Quanto vi è costato percorrere questa strada, sicuramente in salita?

«Facendo un bilancio, abbiamo ricevuto così tanti vantaggi il dare e l’avere, che non possiamo che essere contenti. I benefici sono quelli di una vita libera tranquilla, del rapporto con la gente che vede in noi due persone serene, normali. Facciamo parte di un tessuto sociale, di un quartiere come Ballarò, dove abbiamo la nostra bottega, che ci ha sempre gratificato. Siamo sempre rimasti integri rispetto a certi deviazioni che vediamo tutti i giorni, accettando il minimo compromesso possibile. Ci riteniamo veramente fortunati».

Gilda Sciortino

Lascia un commento