Va benissimo e mi piace un “museo dell’antimafia”, ma solo dopo che tutte le vittime avranno avuto pari diritti e dignità

delitto

Omicidio di Benedetto Grado (« © Franco Zecchin »)

“Un museo dell’antimafia? Bella e giusta la proposta di Pif, ma lui lo sa che è quello che da tempo chiedono molti familiari di vittime di mafia? Non metto in dubbio la bontà della sua idea ma, visto che da più parti giungono consensi, promettendo aiuti economici e non solo, perché non  facciamo in modo che sia una realtà capace veramente di riunire e dare in un certo senso pace a quanti sono stati uccisi per avere tenuto fede ai loro ideali?”.

E’ arrabbiata Tiziana Poplavsky, la moglie del Barone Antonio D’Onufrio, ucciso dalla mafia a soli 39 anni,  il 16 marzo del 1989, in una stradina del quartiere Ciaculli. A lui Libera, nell’anniversario dei 25 anni dalla sua morte, appena un mese fa, ha dedicato un pomeriggio, promosso in collaborazione con la Football club antimafia e la Commissione Cultura del Comune di Palermo. Un momento di dovuta memoria, che ha anche lanciato l’idea di un memorial sportivo della legalità che partirà nei prossimi mesi.

Un’iniziativa durante la quale la stessa Tiziana insieme al figlio Giuseppe, che nell’ 89 aveva solo 5 anni, ha sottolineato quanto sia importante tenere desta l’attenzione su ciò che accaduto nella nostra città, in anni che non tutti ricordano anche solo per motivi anagrafici

«La proposta di Pif va sicuramente accolta – aggiunge la  Poplavsky –  ma stiamo attenti che non venga pilotata e utilizzata a fini personali e di immagine. Mi fa piacere sapere che si può avere una struttura in comodato d’uso e che forse ci sono anche i soldi, quindi lavoriamo tutti insieme affinchè, all’interno di questo museo, ci siano veramente tutte le vittime e che la loro storia venga raccontata per come è giusto. Non erigiamo cattedrali nel deserto che lasciano il tempo che trovano, ma soprattutto cerchiamo di fare in modo che la gestione non venga affidata sempre alle solite associazioni».

E comunque, sempre secondo la donna, che dopo l’uccisione di suo marito è rimasta veramente da sola, si tratta di un passo da fare solo dopo che avverrà la definitiva equiparazione di tutte le vittime.

«Ancora oggi esistono enormi differenze – conclude – e non è più possibile assistere a un copione già visto. Anche perchè chi, come noi, non ha mai rivendicato nulla, neanche un centesimo, può piangere i propri cari solo tra le mura domestiche, senza che la loro memoria venga condivisa dal contesto territoriale, per esempio dai giovani. Ci sono tante famiglie rimaste in silenzio per pudore, riservatezza o per un dolore mai passato. Facciamo in modo che ci siano anche loro in questo eventuale futuro museo. Non i soliti noti».

Gilda Sciortino

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