Libero Grassi. Ventitre anni dopo il suo omicidio grande assente ancora la città

Da sinistra: Davide Grassi, Alice Grassi, Umberto Santino

Da sinistra: Alice Grassi e Umberto Santino

Non c’è niente da fare. Come ogni anno ci si ritrova sempre gli stessi, sempre quei pochi che non vorrebbero mai venire meno a questo appuntamento con la memoria. Pochi che rappresentano le diverse associazioni cittadine impegnate sul fronte dell’azione antimafia e di promozione della legalità.

A mancare, in via Vittorio Alfieri, nel giorno in cui si ricorda l’omicidio di Libero Grassi, sono sempre i cittadini, coloro i quali dovrebbero invece sentire più di altri la necessità di dimostrare con la propria faccia e una partecipazione corale che a Palermo le cose sono in parte cambiate, ma che possono cambiare ancora di più.

C’erano, però, le istituzioni, pronte a fare l’ennesima passerella. Le stesse istituzioni che vengono colpevolizzate dagli assenti cittadini per la loro incapacità, se non addirittura spesso l’insensibilità, di trovare le risposte più adeguate non solo sul fronte dell’attacco e della sconfitta di cosa nostra, ma anche solo a quella quotidianità, ormai diventata un serio problema per la maggioranza degli italiani.

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Il 29 agosto del 1991

Si, proprio questi cittadini, questi italiani, questi palermitani, dovrebbero accorrere numerosi ogni 29 agosto e farsi largo tra le più alte cariche dello Stato per stare al fianco della famiglia Grassi, che in una calda giornata estiva di 23 anni fa capì le conseguenze dell’alzata di testa così forte e determinata di Libero, per la cui mancata sottomissione a cosa nostra pagò con la propria vita. A ucciderlo furono Salvino Madonia e Marco Favarolo, oggi entrambi all’ergastolo.

Certo, oggi si dice con ogni formula e da ogni parte, che non potrebbe accadere di nuovo. Il fatto che gli imprenditori oggi denunciano e vengono protetti dà del filo da torcere a chi vuole imporre la propria prepotenza e ingerenza, ma siamo sicuri che sia proprio così?

Siamo sicuri che i tanti suicidi di imprenditori che non ce la fanno più a sostenere l’attività e che, dopo avere licenziato i propri dipendenti, decidono di farla finita, non sia l’ennesimo abbandono da parte dello Stato di chi, invece, con il proprio lavoro aiuterebbe anche l’economia dei questo paese, sempre più vicino al fondo del baratro?

Come mai, quindi, nonostante gli ultimi dati ci confermino tristemente che ancora oggi il 70 per cento dei commercianti paga il pizzo e che nell’ultimo triennio sono state chiuse 165mila attività commerciali e 50mila tra alberghi e pubblici esercizi, quanti sono rimasti senza lavoro non decidano di partecipare. Anche perché, il 40 per cento di queste realtà ha dovuto abbassare le saracinesche a causa di problemi finanziari legati all’usuraGli ultimi dati di “Sos Impresa”, infatti, ci dicono che é di 6 miliardi di euro l’anno l’introito della cosiddetta usura di mafia, che miete circa 70mila vittime.

Resta ovviamente alta l’allerta sulle estorsioni, nonostante, dopo un calo negli anni passati, dal 2011 al 2012 le denunce sono salite del 15 per cento, con un trend rimasto invariato lungo tutto il 2013: 6mila contro i 25mila estortori segnalati alle forze dell’ordine.

Pina Maisano Grassi e i ragazzi di Addiopizzo

Pina Maisano Grassi e i ragazzi di Addiopizzo

Non sarebbe, quindi, giusto e logico che, il 29 agosto di ogni anno, al posto dei molti, pronti a rivendicare il loro posto in prima fila, ci siano i tanti imprenditori che hanno chiuso, coloro che lo stanno per fare, quanti ce la stanno facendo e potrebbero essere da esempio e aiuto per altri, ma anche i cittadini comuni che non riescono più a mandare avanti la famiglia perché senza lavoro, prossimi al licenziamento o anche solo perché i costi della vita sono diventati veramente troppo alti?

Invece, come al solito, oggi i palermitani non c’erano, magari anche perché in parte ancora in villeggiatura. Un po’ come avviene il 19 luglio, in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio, che vede presente in gran parte la società civile, coloro che ogni giorno combattono perché i tanti omicidi del passato, come anche le tante mancate verità, i silenzi e gli intrallazzi, non trovino più terreno fertile in tutto il Paese.

Giornate, dunque, di vacanza per molti, ma non per tutti. Viene, infatti, naturale chiedersi se il dolore, la solitudine, la mancanza di risposte certe proprio da parte dello Stato, che non sembra insensibile a inciuci e connivenze di vario genere, nei confronti di chi resta a piangere i propri cari, può mai andare in ferie.

Può esistere che, in una terra come la Sicilia, ci si possa permettere di mancare ad appuntamenti del genere che possono risuonare vuoti e privi di senso, se non seguono interventi e provvedimenti tesi a vincere questa battaglia di legalità, ma che dovrebbero veder scendere in piazza la maggioranza della cittadinanza, pronta a rivendicare il suo desiderio di libertà e giustizia?

Libero Grassi

Libero Grassi

A maggior ragione, poi, in una giornata come questa, che ricorda un uomo come Libero Grassi, “libero di nome e di fatto” recita quel mantra che spesso suona senza alcun significato se ripetuto solo per convenzione, quando ogni giorno combattiamo contro tutto quello che ha portato alla morte un coraggioso imprenditore come lui.

Certo è che, per riuscire in questa battaglia che si gioca ad armi non certo pari, dobbiamo fare fronte comune.

«Si – ha detto Enrico Colajanni, presidente di LiberoFuturo – anche perché la responsabilità non è solo di chi paga il pizzo, ma anche di tutta la società, chiamata a rispondere delle proprie azioni. Non possiamo chiudere gli occhi e fare finta di niente».

Per farlo occorre che tutti facciano veramente la propria parte e mettano in campo quanto nelle loro possibilità.

«Bisogna potenziare gli strumenti di contrasto – ha aggiunto Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno, anche lui oggi a Palermo – sostenendo le reti associative attraverso la diffusione di principi di solidarietà. Questa battaglia la possiamo vincere solo nella consapevolezza che la mafia non viene sconfitta una volta per tutte, ma che l’affare, l’economia legale e le azioni possano riproporsi in qualunque circostanza e qualunque latitudine».uomo libero

Ciò vorrebbe dire tenere desta l’attenzione, ma soprattutto fare in modo che di questo tema non se ne parli solo ogni 29 agosto. Tutti i giorni dell’anno bisognerebbe ricordare a noi stessi e a coloro che ci rappresentano che, fare la propria parte, significa sentirsi un’importante rotella del meccanismo di un Paese, di una società, di una comunità, nella quale solo attraverso il tendersi la mano l’uno l’altro ce la si può fare.

Significa attivare ogni meccanismo di solidarietà in grado di non fare sentire più solo nessuno. Perché non ci possano e non ci debbano essere altri Libero Grassi che, per il solo fatto di avere voluto rivendicare il suo diritto a non pagare, è stato strappato ai sui cari.

A quella famiglia che non ha mai voluto una targa sul luogo di questo omicidio, ma che ha sempre preferito che sul muro ci fosse un semplice poster banco con su scritto: “Il 29 agosto 1991 qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello stato”.

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Al centro, Davide Grassi

Una scritta che riporta alle sue ultime parole, pronunciate in televisione, volte a rivendicare il suo diritto a non pagare: “Perché ciò significherebbe rinunciare alla mia dignità di imprenditore. Se tutti si comportassero come me, non si distruggerebbero le industrie ma gli estorsori”.

Sembra quasi di sentire un altro grande semplice uomo come Padre Pino Puglisi, ucciso anche lui dalla mafia il 15 settembre del ’93, quando diceva “Se ognuno fa qualcosa…”.

Due grandi personalità che ci richiamano alle nostre responsabilità, facendoci capire che non con imprese titaniche, non con gesti eclatanti ed epocali, ma semplicemente attraverso piccole azioni e piccoli gesti quotidiani si possono cambiare le cose.

Gilda Sciortino

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